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Il calcio è un momento. Un gol allo scadere, un salvataggio sulla linea, un rigore sulla traversa, un tiro angolato da centrocampo, una parata in due tempi. Una collezione di situazioni che entrano a far parte del caleidoscopio della memoria di ciascuno tifoso, situazioni che finiscono sui giornali, che durano solo ventiquattro ore. Il calcio è quello che ne diremo dopo il 90′, la polemica che non finisce col termine della stagione. Il calcio è una pausa che non arriva, evoluzione costante, variazione di scenari. Cosa resta? Quello che di buono si è fatto, quello che di meglio si poteva fare.

El Lechuga Alfaro

Chi porterà Riquelme al Boca Juniors? Alfaro non ha raggiunto la dose minima di adrenalina per potersi giocare la possibilità di restare sulla panchina più ambiziosa. Mentre Schelotto andava a dirigere Ibrahimovic in MLS, l’ex tecnico dello Huracán ne prendeva il posto. Una delle ultime scelte di Angelici, presidente dimissionario degli Xeneizes. Quando aveva già puntato su tutto, non gli restava che il cuore. Quello di Alfaro. “Sento di essere alla fine della mia carriera, e quando ho ricevuto la chiamata di Angelici, ho ripensato al mio viejo. Con questa decisione sto compiendo la parola che gli avevo dato. Quando lasciai gli studi per dedicarmi al calcio, gli promisi che sarei arrivato al più alto livello possibile. Se nella carriera mi avessero ‘tradito’ come Alfaro, io, ho fatto con lo Huracán, portando utili e progressi, allora in tutta onestà sarei una persona più felice e grata. Tuttavia credo che la vita sia la somma di un serie di decisioni, e questa è la mia”.

El Gringo Heinze

E adesso chi ne prenderà il posto? Si prepara El Gringo? Heinze, la bellissima storia contemporanea del Velez Sarsfield. Se il calcio si rappresentasse a teatro, sarebbe lui l’etoile indiscussa. Un 4-3-3 che domina gli spazi e vuole sempre il pallone tra i piedi, ma è un lavoro di convinzione non di memoria. Spiegò lui stesso: “Io non impongo idee. Quello che faccio è proporre, e il calciatore è colui che sceglie se farlo o no. Quando cominci, ci sono dei calciatori che faticano ad accettare le idee, altri che rompono le scatole, altri ancora ai quali non piace ciò che fai o si trovano meglio con altri schemi. Tutto sta nel mostrare quello che fai e come farlo, questo è fondamentale. Al calciatore lo convinci lavorando e dicendogli la verità”.
Così si è quarti alla sedicesima giornata del campionato a solo due punti dalla vetta. Così i Domínguez esplodono, e fa meno male che il capitano sia andato via.

El Poroto Cubero

Se il calcio è fatto di momenti, come dicevamo, i più belli per vent’anni li ha rappresentati anche El Poroto Cubero. Il talismano di Gareca nei tre campionati vinti alla guida del Fortín (2009, 2011, 2012).
“Succedeva – raccontò un giorno Fabián – in pratica che ogni volta che io facevo un gol, noi vincevamo il campionato. Allora ogni volta il mister mi chiedeva di segnare. Non immaginate quante volte mi abbia detto ‘Quindi? Quando me lo fai un gol, così posso stare tranquillo?'”. Un difensore che a quarant’anni ha collezionato sette titoli, diciassette reti e seicentotrentatré partite.
“Togline uno qualunque e metti Cubero” hanno gridato a Heinze dagli spalti. Era l’utimo giorno, l’ultimo di Cube al José Amalfitani, contro il Colón. Un’ovazione infinita, nell’abbraccio più bello del mondo.


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El Jefe Mascherano

E per una leggenda che va, ce n’è una che torna. Un giro immenso tra diciassette trofei con la maglia del Barcelona e una tappa in Cina, a vedere che c’è dopo le colonne d’Ercole del calcio. Bentornato a casa, Jefecito. Bentornato, Mascherano. Fino a Qinhuangdao è volato il presidente Verón perché non poteva essere con la maglia dell’Argentina la loro ultima foto insieme. Lui in campo a dirigere la mediana, Verón a mettergli a disposizione l’Estudiantes e il suo nuovo stadio, tra i più moderni al mondo, e Gabi Milito a disegnare gli schemi per scendere in campo. Una sceneggiatura che sarebbe parsa troppo ambiziosa a qualunque regista. Eppure è successo, a La Plata, una delle porzioni di Terra in cui puoi sognare un desiderio che si realizza. Ha vinto tutto Mascherano eppure dopo il primo calcio all’1 y 57 davanti ai 15.000 tifosi accorsi non ha potuto evitare di dire che “Questa accoglienza è stata una delle cose più belle della mia carriera”. E non ha ancora disputato un clásico platense contro il Gimnasia con Maradona sul trono. Capita che uno ci pensa ed è subito ritorno al futuro con lo scenario di Sudafrica 2010, ma l’idea che finisca diversamente.
Dopo 15 anni Mascherano è tornato, che sarà mai attendere l’anno nuovo per vederlo in campo?

El Chacho Coudet

Un anno che vedrà la Primera División senza Chacho. Il Racing Club di Mena, Centurión, Zaracho, Lisandro López, Bou, della consacrazione di Lautaro Martínez, ma meglio ancora la squadra di Coudet. Non somigliava a nessuna e così ha vinto, fino alla fine. Al Racing è andato il Trofeo de Campeones 2019, l’ultima coppa e l’ultima partita dell’allenatore alla guida de La Academia. Di Coudet è la passione e la convinzione, come quella che nella stagione 2018-19 ha mantenuto dalla quarta all’ultima giornata di campionato il Racing primo in classifica. Una cavalcata al successo che non si è mai ripetuta e per questo la storia deve finire. Ha il suo ciclo, Coudet l’ha compiuto. A settembre la decisione di lasciare l’Argentina perché non ci sarebbe spazio dentro di lui per un altro club nazionale: “Ho scelto tre anni fa in che parte di Avellaneda stare, quindi non sarò mai l’allenatore dell’Independiente però qui tornerò qui”. Tocca all’Internacional de Porto Alegre lidiar con un loco come El Chacho.

Nostalgia, saudade? Qualcosa di simile già si avverte.

Di Sabrina Uccello


calcioargentino.it

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