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Sono uno specialista dei fallimenti e so perfettamente che si perde il consenso quando finisce il successo. Ma c’è gente di successo che non è felice e gente felice che non ha bisogno del successo. Il successo è un’eccezione, non un continuo”.

Si è iscritto da solo Marcelo Bielsa nella sezione principale del capitolo dei fallimentari. Che non è la stessa cosa di falliti. Il successo non è mai stata la sua ossessione, bensì lo sono la ricerca di una perfezione matematica che, secondo lui, è contenuta negli schemi del gioco, per gli altri, più semplice al mondo: il calcio. Non insegue l’éxito se non col solo scopo che il suo arrivo possa in qualche modo confermare la giustezza delle sue idee. Ma più che idee si tratta di ideali e il successo è così vuoto di leggi meritocratiche e imperturbabili che in sé non prova assolutamente nulla. O forse sì, prova il contenuto di un vecchio adagio.

Tutto arriva, per chi sa aspettare e il tempo è gentiluomo, qualche volta in ritardo, ma sempre impeccabile.

Nel 2018 El Loco firma un biennale con i Leeds United, squadra militante in Championship. Durante la prima stagione, la formazione riesce a restare in zona promozione quasi per l’intero campionato. Si ferma al terzo posto, senza riuscire a superare i play-off. Non mancano lo sdegno e la delusione, soprattutto per la circostanza che impedisce il passaggio in Premier League: lo scorso aprile, infatti, i Leeds sfidano l’Aston Villa. Klich mette a segno un gol dopo essersi rifiutato di buttare fuori il pallone, mentre uno degli avversari è rimasto a terra per infortunio. Bielsa non ci pensa due volte e chiede dalla panchina di restituire il gol. Il Leeds praticamente subisce il gol segnato, che obbliga alla sfortunata roulette dei play-off.

Bielsa ordina di far segnare l’Aston Villa

La squadra di Bielsa fallisce l’appuntamento, la squadra è disorientata e provata da un gesto di Fair Play considerato poco giustificabile e comprensibile, poiché ha praticamente messo una pietra sulle speranze di compiere il passo definitivo. Ma a meravigliarsi è solo chi Bielsa non lo conosce fino in fondo: rinuncerebbe a tutto, ma non ai suoi principi.

Non è uno che predica bene e razzola male, e forse è anche per questo se al primo banco nella classe dei suoi alunni siede Pep Guardiola, se uno stadio gli è intitolato da vivo e se sul Bielsismo sono stati scritti trattati, libri e manoscritti, fino quasi a divenire una scienza universitaria.

Un equilibrio sopra la follia. 

Sarebbe facile ridurre a ciò le teorie di Bielsa alla pari delle sue ormai ben note arrampicate sugli alberi per studiare i migliori schemi che, attenzione, sono 29 e non di più. Tuttavia, il suo Leeds nella stagione che sta volgendo al termine in realtà è partito da un’organizzazione ben precisa. Pressing ultra-offensivo, a uomo. A giudizio di molti, un po’ démodé o tipico delle squadre che devono salvarsi la pelle. In verità è una strategia per mantenere il baricentro alto e approfittare dell’errore dell’avversario in fase di costruzione, per ripartire e cercare la porta opponente. Un calcio verticale, che parte da un inusuale 1-4-1-4-1, che ha generato il 57% del possesso palla di media in stagione. Sono 70 (alla data odierna, ndr) i gol segnati e 34 quelli subiti. Un dato che spacca in due la realtà e allontana dal pregiudizio di un calcio spregiudicato e quindi inefficace. 

Da 16 anni il Leeds non riusciva ad arrivare in Premier League e aveva stabilito il suo record di punti nella stagione 1989-90. A luglio 2020 le cose sono cambiate: con gli attuali 87 punti Bielsa riporta The Whites nel massimo campionato inglese e lo fa senza necessità di abbassare la testa di fronte alla sua proposta di gioco o alla straziante delusione per la stagione precedente. Prende un filo, El Loco, e lo distribuisce intorno alla sua vita secondo il metodo più congeniale. Senza rubare né sottrarre.

Allora tornano a fare eco le sue dichiarazioni forse più famose, quelle alla squadra del Marsiglia nello spogliatoio, quando ne era allenatore: 

“È difficile accettare l’ingiustizia, pero ascoltate quello che vi dirò: se giocate come avete fatto oggi, fino alla fine della stagione, avrete il premio che meritate. Niente vi rasserena perché avete dato tutto in campo, lo avreste meritato e non l’avete ottenuto. Accettate l’ingiustizia, che alla fine tutto si equilibra. Se giochiamo come abbiamo fatto, sicuramente avrete la risposta che meritate. Anche se vi risulta impossibile, non reclamate nulla, ingoiate il veleno, fortificatevi”.

Bielsa divide l’opinione pubblica: chi lo ritiene un sognatore, un illuso sopravvalutato. Chi un genio incompreso, che ha saputo dire di no quando lo riteneva giusto. Quando, per esempio, il Lille decide di esonerarlo a causa di un viaggio in Cile senza autorizzazione per far visita a un amico malato terminale.

Non ha vinto tanto, con l’Argentina un solo oro ad Atene 2004. Ma è chiaro: non è il successo la sua ambizione, bensì lo è la giustizia, il risultato finale che non ha dovuto piegarsi, la bellezza di un’idea che si compie in campo, la perfezione di un movimento studiato e allenato. Se questi fattori possono portare al successo, allora l’ambizione di arrivarvi, vale. Altrimenti è vuota ed estemporanea.

Il calcio dello spettacolo di una proposta è di Bielsa, mentre della gente è quello della vittoria. Lui lo sa e allora ha compreso e perdonato i tifosi del Leeds, che l’anno scorso avrebbero voluto vederlo andar via, e li ha accolti a casa sua, a braccia aperta. Concretamente.

Non ha più la velleità di essere capito, ma solo di essere lasciato stare. Lasciato stare ai suoi fogli, i suoi paradigmi, le sue certezze incrollabili e la dannazione per gli errori. La ricerca e l’audacia, il compromesso e il compromettersi per una causa. La nobiltà di un’identità che non si può scuotere.

E tutto questo sarà per la prima volta sui maxi-schermi del campionato più avvincente al mondo, la Premier League.

Bielsa ha vinto o l’abbiamo fatto noi?

di Sabrina Uccello


calcioargentino.it

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