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Il dolore non sceglie e non si sceglie.

Non risponde alla domanda: “Perché a me?”. Piuttosto corrisponde all’interrogativo: “E perché no?”. Di nuovo, di nuovo a me. Non c’è una quantità limitata di prove da affrontare, non esiste una ricompensa finale. Esiste la vita, che non si spiega e resta avvolta nel mistero. É tutto quello che accade nel frattempo, tra intervalli di momenti che a volte si chiamano felicità, qualche altra volta stupore o soddisfazione. Ma esistono anche la tristezza e il disprezzo.

Esiste il dolore. Il dolore è un tatuaggio sbagliato, non voluto che porta addosso, vicino al cuore, ognuno dei ragazzi che nasce a Villa de Luján, a Parque Avellaneda. Deve fare i conti con le statistiche, secondo le quali soltanto due bambini su quattro possono farcela. A fare cosa? A non morire sparati o a non trascorrere i giorni in carcere. L’unico modo per rientrare nella selezione dei fortunati è avere talento. E infatti “juega bien el pibe”, il pibe di 19 anni che il 19 agosto del 2012 ha disputato il suo primo clásico: Racing – Independiente 2-0. Aveva pochi minuti nelle gambe, circa 180’, ma già la sensazione di avercela fatta. Ricardo Centurión non aveva ancora una storia, ma stava per scriverne una, perché “il calcio ti dà la rivincita. Sono nato senza avere nulla e me ne andrò senza niente, ma in campo do tutto”.


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Non ha mai avuto niente, nessun regalo El Wachiturro. Suo padre, infatti, è letteralmente saltato in aria quando Ricardo aveva circa cinque anni. Lavorava in una fabbrica che produceva fuochi d’artificio ed è finito per diventare una scintilla come le altre. Sua madre Centurión la vedeva a sprazzi, quando non era impegnata a guadagnarsi la vita per sé e i suoi figli offrendo la propria forza lavoro a qualsiasi hotel e casa del posto. Non ha scelto lui, nessuno può farlo, dove e come nascere e Centurión non è mai riuscito a lavarsi la faccia per cancellarsi il barrio dalle espressioni del volto, proprio lui che non è riuscito a farne una forza bensì la sua più grande debolezza.

Chi l’ha visto giocare, l’ha amato subito e col tempo ancora di più. Più gioca a calcio e più diventa cerebrale il suo modo di stare in campo, ma l’attitudine è inversamente proporzionale a quanto accade fuori dal rettangolo di gioco.Ce l’aveva fatta prima di tutti El Wachiturro a trionfare e affermarsi. Ha indossato la 10 del Boca Juniors, ha vestito la 22 de La Academia di Milito, ha scambiato il pallone con Mauro Camoranesi, un campione del mondo. Ma non è bastato, perché sopra e intorno a lui Centurión non riesce a distinguere nulla. Si adombra la vista di fronte alla sfida più grande: fiorire.

Nel 2014 il Racing torna a vincere un trofeo dopo 13 anni di astinenza. In panchina siede Diego Cocca e Centurión è il miglior calciatore del Torneo de Transición, dopo essersi trasferito senza successo al Genoa. Ci riprova a dare il salto tra il Saõ Paulo in Brasile, il Boca Juniors e l’ennesimo rientro al Genoa prima della seconda avventura al Racing Club.

Niente ferma Ricardo se non i limiti che dà a se stesso. Non riesce a sopportarsi e il punto più basso lo tocca a La Academia con Coudet in panchina. Nel febbraio del 2019, infatti, il tecnico lo richiama in campo contro il River Plate, dopo aver scelto di non schierarlo titolare. Il River stava vincendo per 2-0 e al momento del cambio, tra allenatore e giocatore c’è una discussione. Centurión allontana Coudet con un braccio. Un gesto che il Dt non gli perdonerà mai, fino a giurare che non allenerà più il Racing, qualora in squadra dovesse restare l’ex genoano. Ricardo viene mandato ad allenarsi con la primavera, cercherà di chiedere scusa al Chacho e scriverà persino un telegramma, ultima possibilità comunicativa che gli resta, ma non ottiene risposta.
Eppure un anno prima Víctor Blanco, presidente della squadra di Avellaneda, aveva avuto il coraggio di dire la verità, dopo l’ennesimo scandalo che aveva coinvolto Centurión, vedendolo per strada ubriaco alla guida.“La sua è una dipendenza, è malato e bisogna aiutarlo”.

Non ce la fa il Racing a salvarlo né il Messico. Ci stava riuscendo Heinze. L’ormai ex tecnico del Vélez ha salvato una squadra a soli 6 punti dalla retrocessione, portandola alla Copa Libertadores 2021. Un esperto in miracoli sportivi, ha accolto l’ennesima sfida, El Gringo. Gliela stava ripagando tutta Centurión. Lo scorso 4 febbraio in occasione della sua prima partita da titolare con la maglia de El Fortín, Ricardo mostra il meglio del suo repertorio: una rete in Copa Sudamericana contro l’Aucas, che la stampa definisce maradoniana. Un gol agli ecuadoriani che riaccende le speranze: dopo il possesso di armi, l’abuso di alcol, le notti in discoteca, i litigi dentro e fuori del campo, forse a 27 anni è finita la roulette degli eccessi.

Centurión è cresciuto e niente può fermarlo. Niente, se non il dolore.

Tra alti e bassi, tra la magia Xeneize e lo sventurato Atlético San Luis, c’è lei. C’è Melody Pasini, la fidanzata di Ricardo che di lui tutto aveva accettato. Non l’aveva vincolato a un contratto né aveva provato a rescindere dai sentimenti. Aveva accettato e mentre El Wachiturro faceva a cazzotti con chi potrebbe essere e chi non riesce a diventare, Melody lottava veramente. Era malata di cuore e a 12 anni aveva subito un trapianto, poi aveva preso a calci un cancro nel 2012 e aveva sopportato tre stent nel 2018. Una battaglia che proprio non voleva perdere, ma il dolore non lascia tracce e si ripresenta squallido, quando vuole. Era in auto Melody lo scorso 29 marzo e aveva ancora 25 anni, stava andando a casa dei suoi genitori, in piena quarantena. L’auto viaggia da sola perché il cuore si ferma. Arresto cardiaco, mentre è alla guida, da sola.

É morta così Melody, che le aveva vinte tutte ed era riuscita, l’unica, a stare vicino a Ricardo, a riportarlo in campo, a convincerlo che non fosse ancora finita. Così, mentre finalmente si stava schiarendo il tatuaggio del barrio, sul corpo pieno d’inchiostro di Centurión si apre una nuova ferita, l’autostrada della solitudine.

Non c’è mai un perché e non è mai giusto. Tra un gol e un tentativo trascorre la vita e nessuno se ne accorge. Passa aspettando il giorno giusto per rimettersi a posto ma il posto non si trova mai. Melody ha finito, è scesa dal ring, ma Ricardo non può: quel pibe cara sucia deve ripulirsi ancora. E questa volta, per davvero, sembra essergli rimasto soltanto un pallone.

di Sabrina Uccello


calcioargentino.it

Un commento su “Una cara sucia

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