Le sensazioni argentine nel limbo tra fracaso y nueva ilusión mundial.
Tanti i sentimenti contrastanti nell’Argentina futbolera (perché esiste anche un Argentina non appassionata di calcio?) nei giorni successivi alla sconfitta forse più inaspettata della storia della Seleccion nei tornei internazionali.
Possibile che sia crollata sotto le sciabolate dei sauditi una roccaforte così solida come quella creata da Scaloni negli ultimi due anni? Campioni nel Maracanà contro il Brasile, a Wembley contro l’Italia e poi sconfitti nell’oasi qatariota da una perla di Al-Dawsari?
Qualcuno ha paragonato l’1-2 con l’Arabia Saudita allo 0-5 subito dalla Colombia al Monumental nelle qualificazioni a Usa ’94, sconfitta umiliante che stava per lasciare l’Albiceleste fuori dal mondiale a stelle e strisce, qualcun altro allo 0-1 con il Camerun di Oman Biyik e Roger Milla a San Siro nella partita inaugurale di Italia ’90. Forse è questo il paragone più calzante: come quel pomeriggio meneghino di 32 anni fa, nessuno si aspettava una caduta dei giganti contro un avversario ampiamente alla portata dei ragazzi di Scaloni.
Come nel 1990 si arrivava con il vento in poppa, allora da campioni del mondo in carica e con Maradona nel picco della sua maturità, oggi da campioni del Sudamerica dopo 28 anni dall’ultimo trionfo, con una striscia di 36 risultati utili consecutivi e con un Messi maturo, all’ultima chiamata mundial e con un gruppo solidissimo e guidato da un generale tanto umile quanto preparato, tanto fermo nelle decisioni quanto amante dei conclave con i suoi giocatori e soprattutto con il suo staff composto da Aimar, Samuel, Ayala, Placente.
Gli ingredienti per considerare l’Argentina una delle favorite alla vittoria finale ci sono ancora tutti ma questa sconfitta incredibile contro i sauditi ha anticipato il “dentro o fuori” di due partite sul ruolino di marcia dei sogni della Scaloneta. La prima sfida ad eliminazione diretta la si aspettava per gli ottavi di finale: Francia o Danimarca? Tunisia o Australia a sorpresa? E invece no, la prima partita della vita sarà già quella con il Messico.
Sentimenti contrastanti dicevamo: fiducia ovviamente ancora immutata, “fe”, “ilusion intacta” per una Seleccion amatissima che ha fatto esultare per la prima volta un paio di generazioni che prima del 10 luglio 2021 al Maracanà non avevano mai visto un capitano albiceleste alzare al cielo un trofeo con la nazionale maggiore (l’ultimo fu el Cabezon Ruggeri con la Coppa America 1993 in Ecuador).
Qualche dubbio sulla condizione fisica di alcuni giocatori c’è, su tutti Paredes e Romero che non sono evidentemente al 100% ma come fai a non fidarti di un calciatore per te titolare che vedi bene in allenamento e ti dice di sentirsi a posto? L’evidenza della partita ha poi fatto correggere a Scaloni le sue scelte iniziali e forse anche quelle per la formazione titolare che scenderà in campo sabato contro il Messico.
Delusione ma non disillusione, fiducia cieca in Scaloni e nel suo staff ma qualche dubbio sulla sincerità di alcune pedine. Critiche costruttive (agli stessi Messi e Di Maria perché no?) ma anche boludeces da social come alcuni paragoni ingenerosi tra De Paul e il Veron del 2002. Tra un “hay que creer” molto gallardista e un, a mio avviso ridicolo, “De Paul McCartney en modo Little Witch 2002” l’Argentina è stata colpita duramente e inaspettatamente…ma non è affondata, è più viva che mai e pronta a dare tutto contro il Messico.
La gente crede fermamente in questa Seleccion che viene chiamata anzitempo a “jugarse la vida” in 90’. La sconfitta di martedì ha fatto apparire sul ritiro dell’Argentina i fantasmi del 1994, 1998, 2002, edizioni mondiali dove l’Albiceleste per motivi anche extracampo è uscita troppo presto per le aspettative di tutti. Rimanendo in tema mondiali passati: bisogna ritrovare le sensazioni del 1990 e del 2014 sognando ovviamente una conclusione diversa. Come quelle del 1978 e del 1986.