Domenica 11 luglio 2021: la Seleccion vince la Copa America al Maracanà.
Ok, lo sanno tutti, dicci qualcosa che già non sappiamo.
Evita le solite considerazioni su Maracanazo, non fare paralleli con la vittoria a Wembley dell’Italia contro l’Inghilterra, hanno già detto tutti che è stato Diego a sistemare le due finali.
Cosa posso scrivere allora?
Lo spunto me lo offre El Grafico che pubblica un breve video in cui si vedono i giocatori argentini in aeroporto che cantano:
“Esta vez es en serio, no estoy mintiendo
Algo se prende fuego
Sé que muchas veces dije que el lobo venía
Pero esta vez el lobo está acá”.
Mi ricorda qualcosa…
Nel 2007 ero in Argentina e ascoltavo spesso Los Intoxicados, la rock band a cui si deve questo brano, intitolato “Fuego”
Il cantante Pity Álvarez ha una storia travagliata di tossicodipendenza, furti, gravi incidenti e arresti. Il classico anti-eroe amato dalla gente del barrio, tanto che a Villa Lugano gli hanno dedicato un murales.
Succedono cose nella vita, a volte positive, altre volte negative.
Grandi estasi, enormi depressioni.
La vita del Pity assomiglia alla storia delle squadre argentine: trionfi e batoste.
Vittoria e sconfitta, però, hanno qualcosa in comune:
“Siento como el fuego
Me quema por dentro”
Il fuoco ti brucia dentro sia quando esulti sia quando piangi.
Nel 2007 sono in Argentina in fuga dall’Italia dove troppe cose mi fanno bruciare lo stomaco e andare in un altro continente mi sembra una buona idea per ricominciare da zero.
Arrivo a Buenos Aires quando i tifosi del San Lorenzo festeggiano la vittoria nel torneo di Clausura dopo 6 anni. Abito a San Telmo, a poche quadras da Constitución, una delle zone più problematiche e difficili della città. Tuttavia, se scendo verso il fiume, sono abbastanza vicino alla Boca, ma anche a Puerto Madero, il barrio sfuggito a un passato di degrado e abbandono dove oggi gli appartamenti sono moderni e molto costosi.
Mi capita spesso di passeggiare sul lungo fiume dove tantissimi chioschi vendono il panino con la bondiola, un sugoso pezzo di carne aromatizzata col chimichurri. Il profumo delle parrillas che grigliano carne dalla mattina mi entra nelle narici, assieme all’odore acido del chimichurri.
Sono gli stessi profumi che sento attorno alla Bombonera: carne grigliata, fumo.
Ogni stadio ha il suo profumo.
Il mio Dall’Ara a Bologna sa di piada salsicciacipolla (sì, scritto attaccato perché è così che ti assale quell’odore). Il Monumental di Montevideo lo associo al choripan, l’hot-dog rioplatense (molto più buono ovviamente della versione yankee). Il Maracanà profuma di scodelle di feijoada e frutta marcia. In Europa, l’olezzo degli stadi cambia da nord (wurstel) a sud (cipolle e tagli di maiale diversi a seconda delle zone).
La Bombonera devi scoprirla, aggirandoti nelle calles un po’ spaventose della Boca. Si nasconde, soffocata tra grigie case popolari ben diverse da quelle coloratissime del super turistico Caminito. Passi tra bar pieni di birre Quilmes e poster che insultano las gallinas e te la trovi davanti.
Ogni stadio ti appare a modo suo.
Il Monumental è arrogante, emerge, spicca, vuole essere guardato. A Mendoza, il Malvinas Argentinas è inserito nel bellissimo Parque General San Martín, ai piedi del Cerro de la Gloria. Il Bernabeu è un tempio che devi ammirare. Wembley è l’astronave appena atterrata dal grigio cielo londinese e lo vedi da lontano, appena esci dalla tube. Il Franchi di Firenze è nel quartiere, vicino alla linea ferroviaria, rispettoso dei canoni del razionalismo amato dall’ingegner Nervi.
La Bombonera si ispira al progetto di Nervi, ma si oppone alla razionalità!
Le manca un pezzo, ha spalti molto ripidi, la comodità è un concetto sconosciuto.
È emozione.
No tiembla, late.
Se avesse rispettato i parametri razionalisti, non avrebbe fascino.
Tutti gli stadi sono rumorosi, ma quando ci entro, una sera del 2007, percepisco subito che il suo rumore è diverso, è caldo: vibra, batte come un cuore.
Brucia la Bombonera:
“Siento como el fuego
Me quema por dentro”
Esco dal corridoio e mi trovo su uno strapiombo (io soffro di vertigini!).
Il campo è lì sotto, non così lontano.
Manca un’ora al fischio d’inizio, ma il prato è già ricoperto di coriandoli.
Di fronte ho la tribuna dove Diego ha il suo palco.
Mi chiedo se lo vedrò (non succederà). L’ultima volta che l’ho avuto davanti avevo 10 anni, a Bologna, stagione 1989-1990. Segnò con un tiro dal limite dell’area, dopo aver dribblato il mitico Villa. Il Napoli vinse 4-2 e anche lo scudetto.
Fu una bellissima partita con tanti gol.
Anche quella fredda sera porteña, nel 2007, ho visto tanti gol, mostri sacri della storia del Boca (Riquelme e Palermo) e un futuro, amatissimo, attaccante del Bologna (el Trenza Palacio).
Quale partita sono andato a vedere?
13 giugno 2007: Boca-Gremio.
Sì, yo estuve a la Bombonera: ero alla finale di andata della Copa Libertadores 2007.
Arrivare da San Telmo alla Bombonera è un’impresa: traffico bloccato, più del solito; ovunque borrachos por la calle, fiumi di persone arrivano da Puerto Madero e Constitucion.
Manca mezzora, vinco le vertigini, mi accascio carichissimo e guardo La Doze, la curva del Boca. I tifosi del Gremio sono alla mia destra e sento i tamburi che vibrano a ritmo di samba.
Aiuto un ragazzo ad allacciare lo striscione alla balaustra e questo mi permette di diventare subito “El Tano”.
Di fianco ho padre e figlio appena venuti da Mendoza, con un lunghissimo viaggio in bus. Mi spiegano tante cose su Mendoza che io ascolto annoiato. Solo 7 giorni dopo, per puro caso, sarò proprio a Mendoza, dopo un lunghissimo viaggio in bus, durante la finale di Promoción clausura tra Godoy Cruz e Huracan. Vincerà l’Huracán, mi troverò nel quilombo e un policia mi punterà il fucile in faccia per farmi allontanare dal giardino della casa dove mi ero rifugiato durante i tafferugli. Ma questa è un’altra storia.
Sopra e alla mia sinistra ho un gruppo di ragazzi di Palermo che mi accolgono come se fossimo amici da sempre. El Gordo sarà presto entusiasta della mia presenza e mi abbraccerà per ben tre volte, gridandomi “gracias Tano”.
La partita comincia.
Tutti cantano:
“Vamos, Boca, vamos
Ustedes pongan huevos que ganamos
Vamos Traer la copa a la Argentina
La copa que perdieron las gallinas, las gallinas”
18′ minuto, primo gol del Boca, di Palacio, che la butta dentro dall’area piccola su sponda di Martin Palermo.
La Doze frana verso il campo.
No tiembla, late.
Gli spalti non tremano solo dall’alto al basso, si ha la sensazione di essere su una nave: si percepiscono spostamenti anche laterali.
Primo abbraccio del Gordo.
Riquelme fa quello che vuole, non c’è mai la sensazione che il Boca possa perderla. E infatti, al 73′ firma su punizione il 2-0.
Secondo abbraccio del Gordo.
Ci sarà anche un autogol all’89’ per permettere al Gordo di abbracciarmi per la terza volta e dire “gracias, gracias, gracias Tano” in quanto sono ormai palesemente il suo talismano.
La Bombonera è locura.
La gente ammassata su spalti quasi verticali a ridosso del campo urla e salta vincendo la forza del cemento armato.
Il futbol è religione, pazzia, malattia.
Infuoca i cuori.
Il futbol è fuego:
“Siento como el fuego
Me quema por dentro”.
A Bologna, pochi anni fa, ho incontrato Palacio.
“Sai Rodrigo? Io c’ero quando hai segnato l’1-0 alla Bombonera nel 2007 per Boca-Gremio!”
Sgrana gli occhi, sorride: “Gracias”.
Siamo malati di futbol, noi tifosi e anche i giocatori argentini.
E allora, cantala ancora Pity:
“Estamos enfermos
Perdónennos
Perdónennos“
di Riccardo Pirazzoli
Un commento su “FUEGO, BOCA-GREMIO, DIEGO”