Non si riescono a contare con precisione gli attimi che separano una decisione dall’atto di compierla, eppure sono dei millesimi così decisivi che in molti casi decretano un prima e un dopo che cambieranno, in un modo o nell’altro, il definitivo corso degli eventi. O, più semplicemente, della vita.
Circa 430 gr. pesa una pistola calibro 22 ma soltanto perché nel metallo che la compone non è possibile aggiungerci il fardello di chi decide di premere il grilletto per farla finita.
Nell’immaginario comune un calciatore forse meno di chiunque altro ha il diritto di pensare al suicidio. Nell’immaginario comune un calciatore ha tutto. Infine, nell’immaginario comune un calciatore non pensa, è poco più di un homo sapiens specializzato nel calciare il cuoio. E invece lo sport è passione, lo fanno le persone e ciascuna ha la sua vita al di fuori del rettangolo verde che a volte è meno gentile di quello che si crede.
Santiago, “El Morro”, García si è tolto la vita lo scorso giovedì mentre in casa, a 30 anni nella sua villa di Mendoza ed è stato ritrovato da solo col suo corpo soltanto due giorni dopo, il sabato mattina, poiché non rispondeva alle telefonate degli amici e dei parenti.
É mica questo il dolore che si declina nella nostra mente quando si parla di un calciatore? Tra l’altro piuttosto riuscito.
L’uruguaiano ha vestito in carriera prestigiose casacche come quella del Nacional e del River Plate in patria e dell’Athletico Paranaense in Brasile. Nel 2008 debutta e lo fa col privilegio di giocare anche con Marcelo Gallardo, figura calcistica importantissima nell’epoca contemporanea. Evidentemente l’apice lo raggiunge nel 2016 García quando firma per il Godoy Cruz e ne diventa facilmente l’idolo. El Morro conquista tutto quello che ha con numeri che si leggono leggenda da quelle parti: con 51 reti in 119 partite è il capocannoniere storico del Tomba nel massimo campionato argentino e il 2° goleador di sempre nella storia dell’istituzione. Per la gente lui riassume il club con le sue reti, ne è simbolo e trascinatore.
Quest’amore a García piace ma non chiude comunque tutti i cerchi della sua vita. Calcisticamente sembrava destinato anche a palcoscenici migliori eppure non li calca: con l’Under-20 dell’Uruguay, ad esempio, gioca un Mondiale però successivamente non sarà mai convocato con la Celeste. Tuttavia, proprio negli ultimi tempi la situazione si era irrimediabilmente complicata. I rapporti con la dirigenza del Godoy Cruz erano aspri a causa di una condizione fisica non ottimale del calciatore, che già soffriva di depressione. Man mano era finito ai margini della rosa ma la sua cessione non era stata per niente facilitata: il club voleva una percentuale sempre maggiore del cartellino, quasi a mettergli i bastoni tra le ruote.
Nulla di grave, è chiaro. Ma c’è di più. C’è che manca la consolazione, poiché la pandemia ha isolato un uomo già solo. L’ha privato della possibilità di tornare a casa e l’ha tenuto lontano da sua figlia, nel frattempo a Montevideo, il cui rapporto si era rarefatto anche a causa della relazione con la madre della bambina. Le questioni familiari che attanagliano molte persone, ma alcune non sanno gridare aiuto.
Quindi il dolore e in qualche caso la fine.
Morro è stato trovato morto e ha aperto un emisfero infinito di dolore e rabbia in tutti coloro che avrebbero potuto fare e dire di più, per lui. Il Godoy Cruz ha immediatamente ritirato la 18 in suo onore, perché quella maglia ha saputo farla sua. I tifosi si sono accalcati fuori casa e hanno poi scortato la salma fino all’aeroporto affinché riposi in pace a casa, in Uruguay, dove disperatamente stava cercando di tornare, ormai da tempo.
“Noi calciatori non siamo robot, non siamo fatti di acciaio. Ho avuto vari problemi personali che hanno influito sul mio rendimento e non è stato semplice”, se qualcuno avesse potuto davvero leggere queste sue parole non avrebbe poi dovuto scrivere: “Sei stato un eroe, un goleador, un amico e famiglia. Sei stato tutto ciò che una persona desidera quando afferra il pallone. Oggi di tocca essere eterno e infinito per tutti noi”, come ha fatto il Godoy Cruz.
Perché eroe non è nessuno, esseri umani siamo tutti.
di Sabrina Uccello
calcioargentino.it