Storie, aneddoti e pensieri (brevi) sul futbol argentino.
Un vicentino in Argentina
Se mai avete avuto la fortuna di attraversare le campagne venete certamente vi sarete imbattuti in sterminati filari di vigne, delicatamente appoggiate su inebrianti colline. Nasce in questa terra la storia di Antonio Tomba, un giovane di 24 anni di Valdagno, nel vicentino, in cerca di fortuna e di nuove oppurtunità nel 1873. Sono anni difficili e dopo l’Unità d’Italia si assiste allo spopolamento della regione a causa dalla povertà sempre più incalzante. Bisogna per necessità tentare la fortuna altrove.
E Antonio prende la decisione: saranno le Americhe la nuova frontiera per tentare la fortuna e ci Ci vorranno ben 35 giorni di nave in terza classe per attraversare l’Atlantico salpando da Genova, ma finalmente l’ignoto avrà un nome: Buenos Aires. Antonio si adatta facilmente alla nuova vita e trova lavoro in un cantiere delle nascenti ferrovie (ferrocarril). Sono anni dove il boom economico è sinonimo di collegamento e i binari sono un’opportunità preziosissima per raggiungere l’immensa Argentina. Inconsapevolmente si trova nel posto giusto al momento giusto.
Il cantiere tocca diversi città e un giorno si stabilizza a Mendoza, nell’interior più estremo dell’Argentina. Il paese lo affascina così tanto che gli sembra di essere tornato a casa, con quel clima mite e con quelle colline del tutto simili ai già conosciuti paesaggi vicentini. E all’improvviso gli viene un’idea: ‘Qui non è poi troppo diverso da Valdagno e io il vino lo so fare.. vuoi vedere che..‘ Antonio Tomba prende la decisione di stabilirsi lì e fattisi due calcoli, decide di investire i suoi risparmi comprando terreni agricoli e mettendosi a coltivare la vite come nessuno prima di lui.
L’abilità di Antonio è notevole, d’altronde nella bottega di casa aveva ‘rubato’ tutti i segreti al padre, aiutandolo e compiendo in prima persona tutti i processi produttivi. In poco tempo la sua bodega diventa famosa in città e tramite i provvidenziali binari il suo vino arriva alla tavola nell’Argentina che conta, la Capital. Inizia così la sua fortuna imprenditoriale con il presidente della Nazione, Julio Argentino Roca,che addirittura lo soprannominerà come ‘Rey de vin’.
Ma il suo prestigio personale va oltre i meriti economici. Antonio si fa amare dalla comunità mendocina contribuendo in maniera concreta al miglioramento sociale nel territorio. È difatti grazie al suo contributo che nasce l’ospedale in città ed è grazie a lui che i bambini possono andare a scuola.
Sedici anni dopo, a quarant’anni di età, in un viaggio di ritorno verso l’Italia Antonio si ammala gravemente e muore in nave. Arrivata la triste notizia a Mendoza i lavoratori della sua cantina decidono in suo onore di fondare un club calcistico, lo sport più in voga quegli anni, con il suo nome: il Club Deportivo Bodega Antonio Tomba, che poi diventerà Club Godoy Cruz Antonio Tomba. El ‘Tomba’.
Il resto della storia lo sappiamo, con il Tomba stabilmente nell’elite del calcio argentino che conta. Antonio Tomba ha lasciato il segno per sempre in Argentina e a Mendoza. Il suo cuore tutt’oggi è conservato a Valdagno nel cimitero della città, accanto ai suoi genitori, mentre la sua passione porta ancora il suo nome. Del Godoy Cruz, club de Primera.
Vincere il Clasico rosarino in 9
La pioggia a Rosario è scesa copiosa tutta la mattina ma niente aveva fermato il popolo Leproso, che già da un’ora gremiva el Coloso. Nel torneo Apertura del 2007 alla nona giornata va in scena il Clasico rosarino e probabilmente arriva al momento giusto per entrambe le squadre.
Il Newells è partito discretamente bene nelle prime otto partite. Le 3 vittorie, 3 pareggi e 2 sconfitte sono un bottino che posiziona la squadra dignitosamente a metà classifica. Per il Central il discorso è leggermente diverso, tira infatti aria di crisi: i 4 pareggi in 8 partite non hanno entusiasmato particolarmente l’ambiente gialloblù, il Clasico dunque arriva al momento giusto per una svolta.
Il clima al Marcelo Bielsa è elettrico, il terreno pesante aumenta il livello di impegno tra le squadre che in campo non si risparmiano. Interventi al limite o quasi, tra testate camuffate, tackle duri e la pioggia che rende più spettacolare il tutto. Vincere questa partita è fondamentale dato che la barra si è fatta sentire in settimana.
Negli spalti lo spettacolo è assicurato, i cori rojinegros sono un mantra che si ripetono all’infinito, ma anche la presenza delle Canalles che occupano un’intera curva è qualcosa che non passa inosservato. Sfottò a non finire tra le due fazioni con quelli del Newells che ricordano la prima stella del 1974 in faccia ai cugini mentre gli altri inneggiano al 4-0 di qualche tempo prima, con un tifoso addirittura, vestito da pinguino con lo stemma NOB sul petto.. dando in maniera folcloristica del ‘pecho frio’ ai rossoneri.
Se l’ambiente è alle stelle il merito è anche dei 22 in campo che ne alimentano la garra e che se ne danno di santa ragione. Al 41′ ecco la prima svolta. Nunez non si controlla e su una palla vagante entra di slancio a piedi uniti su Bernardello, anch’egli in tackle ma in anticipo. L’intervento è durissimo e l’arbitro non può far altro che mandar fuori il centrocampista. Il Central rimane in 10.
All’intervallo negli spogliatoi c’è di più: scambi verbali non troppo diplomatici tra i giocatori, corridas e qualche ‘patadas’ giusto per non perdere l’intensità della sfida. La presenza della barra nello spogliatoio Newells poi non può mancare assieme alle immancabili minacce all’arbitro. Il Clasico a Rosario è una questione che va oltre il risultato ..al Loco Bielsa e al Tata Martino quando gli chiedono del clasico rosarino, iniziano a fare gli occhi lucidi. Questo è davvero il Clasico más caliente de Argentina e la garra qui si potrebbe vendere al kilo.
Nella ripresa il Newells cerca di sfondare ma la mira non è dei giorni migliori, il Central in inferiorità numerica cerca di ripartire e a 20′ dalla fine arriva il secondo colpo di scena: In area Vangioni atterra il colombiano Arzuaga e l’arbitro fischia il rigore. Sconcerto tra i tifosi Leprosi quando lo stesso Arzuaga tira una botta centrale e segna lo 0-1. Ora nel Coloso si sentono solo i cori dei canellas che sfottono a gran voce i cugini.
E poi si arriva al 40′ st il terzo colpo di scena. Emiliano Papa subisce un fallo da Bernardello vicino alla linea laterale. Il lebbroso aiuta el Papa ad alzarsi quando dagli spalti gli arriva un accendino che lo colpisce. Lui si accorge e senza pensarci due volte lo afferra e lo rilancia con rabbia in mezzo al pubblico ostile: espulso.
Gli ultimi 10′ (recupero compreso) saranno una sofferenza per entrambe le tifoserie ma alla fine il Central ne uscirà indenne in una partita stregata per il Newells. Dopo cinque anni dall’ultima vittoria al Coloso, il Rosario Central vince al Coloso un clasico che finirà negli annali.
In trasferta, ribaltando il pronostico e.. in nove uomini.
La qualità del Trinche
Tutti ne hanno sottolineato la sua grande tecnica, tanti ne hanno elogiato l’eleganza e la fantasia, ma forse una era la qualità che colpiva fin da subito del Trinche: la sua umiltà.
Alto come un portiere, era un omone la cui sola presenza fisica incuteva timore all’avversario, e pareva impossibile che avesse una tale dimestichezza da dare del tu alla palla. Eppure era un gigante buono. Quelli che l’anno conosciuto giurano che Tomas avesse la semplicità dei bambini, curioso e innamorato della pelota. E anche nelle poche interviste rilasciate, si percecipiva dal suo modo di parlare, di emozionarsi, che era una persona sensibile, totalmente distaccata dal mondo egocentrico del calcio.
Si commuoveva quando si parlava della sua epoca, di quando giocava a fútbol; l’emozione allora aveva la meglio sull’intervista e bisognava sospendere il tutto. Era una persona talmente buona che poteva tranquillamente essere il tuo vicino di casa perfetto, quello a cui chiedi in prestito un rastrello o un pezzo di pane; te l’avrebbe dato senza alcun tipo di problema nonostante si chiamasse Carlovich, il giocatore più forte perfino di Maradona.
È questo che non si riusciva a capire di lui. Nonostante il cognome ‘pesante’ el Trinche era libero, talmente libero che se ne andava in giro in bicicletta nel suo barrio a Rosario, tranquillamente, avendo rispetto di tutti.
Alla fine dei conti la tragedia appare questa: abbiamo sì perso un gran calciatore ma abbiamo perso soprattutto una grande persona. Sembra retorica ma non lo è: oggi il mondo appare meno migliore senza di lui.
Da mostro ad Ángel
Se oggi ricordiamo il superclasico del gas pimienta è grazie (eufemismo) a lui: Ángel Napolitano, detto el panadero.
Cinque anni fa, fu lui il maggiore artefice della squalifica del Boca nell’ottavo di finale alla Bombonera. Dietro alla manga ospite, attaccò i giocatori River facendo esplodere un lacrimogeno al loro passaggio per la ripresa del gioco. Da lì il caos. Ponzio e Kranevitter furono i giocatori più colpiti dalle conseguenze del gas e dalle scottature, ma anche Vangioni e il Pity accusarono i sintomi dell’attacco. Il delegato Conmebol Roger Bello decise che non si poteva continuare, sospese la partita, frantumando così le speranze Boca. E il panadero fu arrestato.
Ángel si salvò dalla prigione con un Daspo, 3 anni di servizi sociali nella parrocchia del suo paese e l’esilio dalla società. “Ma io non volevo ferire nessuno” disse, “volevo solo mettere più pressione al River.”
Cinque anni sono ormai passati, la sua pena è stata scontata e di fatto pare redento. Volontariamente continua ad aiutare la sua parrocchia ma il suo sogno è quello di tornare a essere socio del Boca. E ora che si è insediato il nuovo presidente del club, Ameal, gli è ritornata la speranza.
“Ora che è cambiata la dirigenza spero col tutto il cuore di poter tornare al Templo”, logicamente in pace si spera, perché i colori Xeneizes rimangono, oltre ai suoi figli, il suo amore più grande.
Tutto quello che vuoi
La Superliga 2017/18 sta per vivere i suoi giorni più intensi, come ogni anno, alla fine di marzo. Sta per terminare un testa a testa inaspettato tra il Boca del Guille Schelotto e il Godoy Cruz di mister Dabove. A quattro dalla fine la classifica recita: Boca 53 Godoy Cruz 47.
Il programma della giornata prevede un incontro abbastanza semplice per i xeneizes, Bombonera contro il Newells. Tutt’altra fatica invece tocca al ‘Tomba’ impegnato nella complicata trasferta a Banfield: per fermare il Godoy bisogna che il Taladro faccia una prova maiuscola, di carattere.
Cecilia ‘Chechu’ Bonelli è una bellissima donna, affermata modella, conduttrice tv e.. tifosa Boca. Ed è qui che nasce la richiesta, un pò particolare della donna al bomber del Banfield, Dario Cvitanich, colui che in pratica può fare qualcosa per rallentare la corsa del Godoy.
“Hai diritto di chiedermi ciò che vuoi per una settimana intera” dice la bella Chechu all’attaccante, in cambio certamente di un maggior impegno.
Ebbene la giornata calcistica farà il suo corso, tra paure, ansie ed eccitazioni. Il Boca in serata, a risultati acquisiti, si troverà due punti in più grazie alla propria vittoria alla Bombonera ..e grazie al pareggio (1-1) tra Banfield e Godoy Cruz. Il Taladro è riuscito a frenare el Tomba!
Ora, non ci è dato di sapere cosa sia successo dopo, se davvero la bella modella abbia mantenuto la sua seducente promessa, però sappiamo bene che a fine torneo il Boca vincerà il titolo ..con due soli punti di distacco dal Godoy.
Ah, prima che pensiate male Chechu Bonelli è la moglie di Dario Cvitanich.
80 anni di Bombonera
Quest’anno sono tondi. Il 25 maggio saranno 80 gli anni che la Bombonera compierà a la Republica de la Boca. L’anno scorso famosa fu l’iniziativa di dipingere sulle pareti del corridoio che dava al campo le frasi celebri di avversari famosi (molti del River), sbigottiti dal clima caliente del Templo.
Come dire, non basta che si muova tutto al ritmo indiavolato di chi ci salta sopra, scriviamoci anche qualcosina che imbarazzi ulteriormente l’avversario. Nacquero così queste 8 citazioni mitiche.
Si dale.. y el Papa es argentino
Le pubblicità a volte sanno essere dei veri e propri capolavori. Una di queste, di qualche anno fa, raccontava di un ragazzo in un letto di ospedale, tifoso del Boca (come la famiglia), che si risveglia dopo 6 anni. Siamo nel 2016 e per un bostero ne sono accaduti di eventi.
– Ragazzo: Ho dormito 6 anni? Cosa è successo?
+ Padre: Eh… ne sono successe di cose. Il Virrey è tornato a La Boca, ma è dovuto andar via per i cattivi risultati.
6 a 1 abbiamo perso contro il San Martin di San Juan!! Poi l’anno scorso 8 superclassici abbiamo giocato, sai quanti ne abbiamo vinti??
– 6
+ Neanche uno!
Ma a me non ne importa niente perché quelli di Nuñez (River) sono andati giù!
– Sono andati in B ?!
+ (Siii -mamma-) Non solo loro eh, anche il Rojo è andato giù, poi è risalito e ha dovuto guardare come l’Academia, la squadra di tuo nonno, diventava campione dopo 13 anni.
( -Mamma- Digli della maglietta rosa) Adesso no… E il San Lorenzo, campione della Libertadores.
– ……… *piiiiiip*
+ Ragazzo, ragazzo riprenditi che non ho ancora finito! Huracán ha vinto la Copa, ma d’Argentina, che è come la Coppa del Re, ma quella nostrana.
E il torneo è molto cambiato, ci sono circa 30 squadre…400 partite! Questo è successo quando c’era Don Julio (Grondona), hai visto che ora non c’è più?
– Si dai, e il Papa è argentino…
+ Sì, è argentino. Ma sai cosa la cosa più importante ragazzo?
Si è ritirato Roman.
– Noo, (*pianto*) Román nooooo..
Fantastica, sarà solo una pubblicità, ma è gustoso il fatto che il primo argomento che ‘toccano’ i genitori e figlio dopo sei anni di ‘assenza’ sia il futbol. E se ci pensate, sei anni senza seguire la squadra del cuore sono tanti. La curiosità ti arriva per forza. Geniale.
Papi, vamos a ver Boca?
Dovrebbe essere stata questa la frase che trentacinque anni fa, il 7 aprile 1985, Adrián Scasserra rivolse a suo padre per la prima volta. Quattordici anni e la prima volta allo stadio.. Cosa c’è di più bello quando padre e figlio coltivano la stessa passione per il futbol?
Il padre Juan non va allo stadio da un po’ , anche lui è un bostero, ma non è troppo convinto che sia la partita giusta, in fondo si tratta sempre di un clasico, e per di più ad Avellaneda. Ma come si fa a dire di no a una tale richiesta?
Fatti i biglietti, padre e figlio si sistemano nella curva riservata agli ospiti nella vecchia cancha del’Independiente, ‘la Doble visera’. A fianco ci sono anche i tifosi locali, posizionati lì probabilmente per non pagare il biglietto maggiorato data l’importanza della partita: chi vince va avanti, chi perde viene eliminato: è il Metropolitano.
Presto gli animi si scaldano per un rigore non dato al Boca, i più ubriachi iniziano a tirare pietre verso la porta avversaria. Dopo che la barra tenta di invadere il settore locale, iniziano i tafferugli con lanci di oggetti dall’una e dall’altra parte. È il caos, la partita viene interrotta a cinque minuti dalla fine. L’unica uscita del settore ospiti di certo non aiuta dato che ..è utilizzata anche dai tifosi locali.
La situazione degenera, interviene perfino la leggenda Xeneize Roberto Mouzo a tranquillizzare la curva Boca, e così sembra avvenire. Ma è un fuoco di paglia. Ad innervosire di nuovo gli ospiti sono le forze di polizia che irrompono improvvisamente in gradinata menando i bosteros di santa ragione, i quali però resistono, riuscendo addirittura a far fuggire i poliziotti. È il principio della fine.
La polizia, dopo la ritirata si ripresenta in curva, ma questa volta armata. Si odono numerose detonazioni e in curva c’è il terrore. Juan e Adrián nel trambusto cercano di guadagnare l’uscita di corsa, ma scesi i gradoni Adrián è vittima di una pallottola calibro 9 che gli si conficca nel torace. Dramma. Il ragazzo si accascia per terra, morirà poco dopo sulle braccia del padre, che disperato, cercherà invano soccorso.
A distanza di trentacinque anni Juan è ancora in cerca di capire chi abbia ammazzato suo figlio.
14 agosto 2019 – esordio di De Rossi al Boca Juniors
“Mac Allister para pegarle, ahora en el área espera Mauro Zárate…en el área, espera el Tano, espera De Rossi!
Viene el centro, ahí va DE ROSSI…gol, GOOOOOOOOOOOOOOL GOOOOOOOOOOOOOOOL (i tifosi Y DALE Y DALE, Y DALE BOCA DALE) GOOOOOOOOOL de Boooca de Boca de Boca, de Daniele De Rossi”..
“Boca 1, Almagro 0 a los ’27 del primer tiempo, muy libre en el aera el “Tanito”, apareció Daniele! Gana Boca por 1 a 0! ”
¿Esto está guionado? ¿Esto está escrito en algún lado? Siempre lo vio, Benitez lo perdió, SIEMPRE vio la pelota. ”
“Si está guionado está escrito en italiano esto…Como…si a esto hubiésemos venido todos a ver qué hacía quién ahora está siendo ovacionado”
(Olé olé olé, tanooo tanoooo)..
1968, Buenos Aires, Argentina.
Il San Lorenzo ha appena conquistato il ‘Metropolitano’ grazie al ‘Lobo’ Fisher, il centravanti che in finale ha piegato l’Estudiantes La Plata nel tempo supplementare, grazie a un suo gol decisivo. E’ grande festa a Boedo, dato che il titolo da queste parti mancava da circa dieci anni. Il giocatore viene portato in trionfo, è l’eroe assoluto della vittoria finale, assieme alla squadra.
Terminati i festeggiamenti, qualche giorno dopo sulla scrivania del presidente Ángel Colacino arrivano diverse offerte per i suoi giocatori tra i quali una per il lobo. Si fa due conti in tasca e decide senza troppo esitare di vendere il pezzo pregiato della squadra, colui che, ora più che mai, gli può fruttare dei bei milioni di pesos: proprio lui, el lobo Fisher. È deciso, el Lobo riempirà le casse del San Lorenzo.
Ma forse il dirigente non si rende conto che la sua tifoseria è diversa dalle altre di Argentina, è particolarmente calorosa e sanguigna, totalmente identificata con i colori Azul grana. I tifosi, appena saputa la notizia si sentono smarriti, traditi, furiosi.
C’è sconcerto per questa vigliaccata e un giorno un gruppetto di tifosi aspetta il presidente nel tentativo di fargli un’imboscata, di dargli una sorta di avvertimento Appena lo vedono lo rincorrono minacciosi, probabilmente, non usando l’arte della diplomazia e della conversazione. Colacino in preda al panico scappa rifugiandosi dentro alla sua auto, chiedendo aiuto e chiudendosi dentro.
Finita qui? Neanche per sogno. La gente inferocita rovescia l’auto in mezzo alla strada, e solo il celere intervento della polizia salva la vita del presidente terrorizzato.
E il lobo Fisher?
Esatto, rimarrà in squadra.
Tratto dall’intervista di ‘The Guardian’ a Peter Shilton, gennaio 2020.
Mr Shilton sospira “Per me quel gol è ricordato per le ragioni sbagliate. Ho fatto tutto il possibile per evitarlo e la famosa foto mostra che sono più vicino alla palla che alla sua testa. Ecco perché l’ha segnato con la mano. C’è ancora gente che mi dice: “Oh, ti ha sorpreso.” No, non mi ha sorpreso. Ha barato.”
La sua voce si allontana. Le scuse di Maradona avrebbero alleviato la ferita di Shilton? “Avrebbe alleviato questa sofferenza per tutta la squadra inglese, non solo per me. Tutta la squadra inglese ha sofferto perché è stata tradita. Al giorno d’oggi le persone si lamentano del VAR, ma sarebbe stato molto utile per noi in quel caso. Maradona ha ammesso in modo subdolo l’irregolarità del gol dicendo che era la mano di Dio. Ma non si è scusato, né ha mostrato alcun rimorso.”
“Ho respinto la richiesta di Maradona qualche anno fa per comparire al suo fianco in un programma televisivo perché mi hanno sempre insegnato a rispettare il gioco. Ho visto altri giocatori imbrogliare, ammetterlo e scusarsi. Ci è stato detto più volte di dimenticare. Ma lui non si scuserà mai e io non gli darò la mano. Dico sempre che è il più grande giocatore della storia ma non lo rispetto come sportivo e non lo farò mai”.
Il secondo goal di Maradona in quella partita fu regolare e brillantemente sontuoso nel modo in cui dribblò oltre cinque giocatori dell’Inghilterra prima di festeggiare. “Era tipico di ciò che poteva fare, ma non eravamo nel giusto stato d’animo dopo quello che ci era appena accaduto. Quando qualcuno bara, in una partita così, il tuo stomaco si abbassa. La nostra difesa era ancora sotto choc ma devo dire che non puoi togliergli nulla. Maradona ha fatto quello che Diego Maradona meglio sapeva fare”.
Siamo ai primi di giugno 2018. La Seleccion Argentina si allena nei centri sportivi del Barcelona e Messi non ha dovuto spostarsi dopo la Liga recentemente conquistata. Il programma prevede un’ultima amichevole prima del trasferimento della truppa per il Mundial in Russia ma l’avversario e il luogo fanno un pò storcere il naso ai giocatori: contro Israele, (e vabbè) ma a Gerusalemme IN Israele. Si deve festeggiare il 70° anniversario della nascita dello stato ebraico e il governo locale ha sganciato un bel pò di milioni.
Parte il boicottaggio arabo. Bisogna assolutamente evitare che il più famoso giocatore al mondo stringa mani israeliane. Ad ogni costo.
Esce allo scoperto il presidente della federcalcio palestinese Jibril Rajoub cha lancia la guerra santa: ” L’Argentina non venga a giocare con Israele a Gerusalemme altrimenti milioni di fan palestinesi e arabi bruceranno la maglietta di Lionel Messi”. Inizia così l’ennesimo braccio di ferro tra Israele e Palestina per la strumentalizzazione della partita, con la Selección che appare impotente e minacciata da eventi estranei del mondo calcistico.
Con il trasferimento ad Haifa parte la sfida di propaganda tra Netanyahu e Palestina. Anche se la Nazionale si allena ad Haifa, che non è la Cisgiordania o la striscia di Gaza, ci troviamo comunque in un territorio talmente instabile che basta una scintilla perchè in poco tempo si propaghi in incendio. E forse quelli di Ezeiza ancora non l’hanno capito.
Il clima inevitabilmente si surriscalda giorno dopo giorno con la presenza di manifestazioni arabe al di fuori del centro di allenamento. Un giorno cominciano a sporcare magliette e bandiere argentine con vernice rossa e solo dopo che viene ritrovato un manichino impiccato in un palo della luce lì vicino si decide per lo stop degli allenamenti. La sicurezza non è più garantita. Interviene anche il presidente argentino Macri che si fa intermediario della situazione con i colleghi israeliani: i giocatori si rifiutano di giocare dopo le pesanti minacce arrivate a Messi e compagni.
Alla fine si annulla la partita, con la Palestina che trionfa (Rajoub: ” Dalla Palestina, grazie Messi “) e Israele che si indigna (Netanyahu: “E’ una vergogna, ha vinto il trerrorismo “). E con l’Argentina che spreca l’ultima opportunità di ‘mettere’ minuti preziosi nelle gambe prima della Russia.
Vittoria della Palestina e sconfitta di Israele? No, Papelón historico dell’AFA. A chi gli venuto in mente di giocare lì?
La classe operaia degli eroi del 1978
Tratto dall’intervista di Paolo Galassi a Cesar Luis Menotti, ne ‘la Repubblica’ del 16/6/2018, alla vigilia del debutto mondiale contro l’Islanda.
Menotti: (..)“Se parliamo di calcio ‘el negro’ (Pelé) lascialo fuori, era di un’altro pianeta. Una pantera. Certe cose sue le ritrovo in Messi, per esempio nel modo in cui frena con la palla al piede. Nel fútbol è più difficile frenare che andare veloci. In questo momento Messi è il migliore al mondo, come lo furono Maradona e Cruyff. Senza di lui in Russia non ci saremmo arrivati. Però a un grande violino bisogna far una grande orchestra. A questo gruppo mancano ore e ore di prove. Sampaoli non ha avuto tempo.”
Sul 1978 “Ero affiliato al partito comunista e sapevo della repressione, non potevo immaginarne le dimensioni. Ne parlai con lo scrittore Ernesto Sabato quando lavorava sul rapporto ‘Nunca Más’ sui desaparecidos. Non poteva credere quel che stava venendo fuori”. L’indifferenza verso il regime Videla rimane una macchia indelebile per la sua nazionale. “Ma molti di quelli che oggi ne parlano come rivoluzionari, all’epoca non ti firmavano una petizione per i desaparecidos. Io l’ho firmata e ho avuto i miei problemi”.
“Il modo di in cui hanno trattato i giocatori è vergognoso, un’infamia non riconoscere lo sforzo che fecero, gratis, senza ricevere un premio. In loro avevo fiducia infinita, era una squadra invincibile, con la potenza di Kempes e la classe di Ardiles”.
Su Pep Guardiola: “Pep è il Che Guevara de fútbol. Ha continuato una rivoluzione che stava aspettando un leader. Mai visto nessuno con quella curiosità, ha un idea di bellezza che non abbandona mai. Ha sempre garantito la crescita dei suoi uomini: Xavi e Iniesta sono diventati dei crack con lui. Dopo il Barça voleva allenare una nazionale. Gli chiesi cosa ne pensasse dell’Argentina, era interessato, i soldi non erano un problema. Ne parlai con l’Afa, potevano prenderlo e mettergli a fianco due o tre allenatori giovani. Avremmo risolto il problema del Ct per i prossimi 15 anni..”
Sette allenatori in due anni. Roba da far impallidire mangia allenatori navigati del calibro di Gaucci, Zamparini e Preziosi.
Il San Lorenzo nell’ultimo biennio ha vissuto più all’inferno che al purgatorio, affliggendo e non poco una delle tifoserie più calde e passionali del continente sudamericano. E pensare che si ripartiva dal grande traguardo del terzo posto conquistato l’anno prima, dietro al Boca bicampeon e di quell’eccezionale Godoy Cruz del Morro Garcia e del Dt Dabove nella Superliga 2017/18.
El Pampa Biaggio, dopo aver centrato la qualificazione Libertadores pensa di lasciare un segno significativo nel Ciclón. Purtroppo gli 11 punti nelle prime 10 partite, l’uscita traumatica dalla Copa Sudamericana negli ottavi contro il Club Nacional e la clamorosa eliminazione in copa Argentina contro il Temperley (B Nacional) lo costringono ad abbandonare anzitempo la barra di comando della squadra.
Siamo all’inizio di novembre e nell’emergenza il presidente Lemmens chiama il tecnico della Reserva, Monarriz, per tre partite in attesa di ingaggiare Almiron, reduce dall’esperienza colombiana nell’Atletico Nacional.
Ma la crisi non si ferma. Il San Lorenzo soffre di pareggite cronica anche con ‘el caeza de gabo‘ Almiron la stagione termina male. 23° in classifica, 3 vittorie, 14 pareggi e il resto sono sconfitte. Solo il Promedio salva la squadra dall’onta della B e come se non bastasse in Libertadores 2019 dal ritorno dalla deprimente trasferta contro il Palmeiras il Dt aggredisce insultando un tifoso azulgrana dopo l’aveva provocato. L’allenatore è costretto alle dimissioni.
Per la stagione 2019/20 si fanno le cose in grande. Arriva Juan Pizzi dopo l’esperienza in Copa del Mundo in Russia con l’Arabia Saudita e Il San Lorenzo è la protagonista nel calciomercato. Arrivano gente del calibro di Menossi, autentico pezzo pregiato dell’estate; i gemelli paraguayi Romero in arrivo dalla Cina; i fratelli Pitton dall’Union e rimane Gaich reduce dai i mondiali di categoria.
Inizio folgorante per il Ciclón. Le quattro vittorie e il pareggio danno la testa della classifica denotando un equilibrio tattico fin allora sconosciuto. Poi però va via Senesi, il cardine della difesa della squadra, in partenza verso l’Olanda e da qui inizia lo sfascio. La squadra ricomincia la propria spirale discendente di risultati e di umiliazioni che fanno tornare i brividi ai tifosi. Cose già viste. La goccia che fa traboccare il vaso è la sconfitta choc nel Clasico del Barrio con l’Huracan assieme alla goleada casalinga subita nella partita successiva dal Defensa y Justicia. E’ troppo, termina così anzitempo anche il regno dell’allenatore spagnolo a Boedo.
Si richiama nuovamente Monarriz, dove ha un buon impatto nelle prime partite e il pregio di valorizzare con più regolarità Gaich (gran gol nella vittoria al Monumental). Putroppo non va d’accordo con i gemelli Romero. Una loro esclusione a Cordoba, col Talleres, scatena il putiferio nello spogliatoio. Il mister, avendo un carattere decisamente sanguigno non le manda a dire ai paraguayi. Sarà la fine anche di Monarriz che però tornerà a dirigere la Reserva. Toccherà al triunvirato interno Tocalli-Romagnoli-Acosta assumere il comando della prima squadra per le ultime due partite prima dell’annuncio:
Soso sarà il settimo allenatore in due anni del Ciclón.
Tratto da ‘ Somos hinchas de Boca..non provate a capirci! ‘ di Lucas Arcaraz
[Ore 18:30]
“Sono sempre più vicino allo stadio. Più vado avanti e più il cuore batte forte. Il respiro si agita, il corpo comincia a tremare come una foglia, come se fosse la prima volta. Ogni volta è la stessa cosa, gli stessi brividi, le stesse vibrazioni, è come se ogni mia cellula del mio corpo avvertisse la vicinanza al templo de futbol mano a mano che cammino. Eccola lì, così ‘linda’, così perfetta.. la Bombonera”
“Passo dopo passo, sento l’odore dei “patys” (una specie di hamburger) ed è una tentazione quasi impossibile da scacciare, faccio altri tre passi in avanti e rimango rapìto dal profumo del “chori” (panino con la salsiccia). Il ‘choripan’ è spettacolare, ti dà un’ulteriore energia per entrare allo stadio, per festeggiare una notte magica, o per consolarti se la squadra ha perso.
Ma oltre al ‘chori’ o al ‘paty’ c’è di più, c’è la ‘Previa’ che è una tradizione quasi istituzionale. In alcune vie strategiche vicino alla Bombonera i tifosi si riuniscono prima della partita e festeggiano insieme cantando e ballando con tamburi e trombe e tutto ciò che fa rumore. Puoi trovare birra, Fernet, carne arrostita, ed è davvero impossibile che il tuo cuore non batta al ritmo delle canzoni. ‘Se abre el corazon’ guardando tutte quelle persone, che come te, amano follemente il Boca.”
“Una volta passati i controlli di sicurezza, ti ritrovi davanti alla scala che porta a ‘La 12’. Interminabili i gradini per arrivare in tribuna, i canti già prepotentemente si innalzano dalle gradinate e ti fanno venire voglia di salire le scale al ritmo della musica.. Quando finalmente arrivi alla “popular” e vedi in basso il prato verde, inizi a farti un’idea che stai per vivere un Boca-River. In quel momento ringrazi l’universo, Dio e il dio del fútbol, ma soprattutto papà, mamma, zio o padrino che ti hanno fatto “bostero”.
Gracias a mi viejo que me hizo de Boca!“
Tratto da ‘Giro del mondo in una Coppa’ di Stefano Bizzotto, ed. Il Saggiatore.
Videla, Massera, Agosti: non è il tridente offensivo di una squadra rioplatense, sono i nomi dei generali che prendono in mano il potere. Nulla di nuovo sotto il sole di Buenos Aires: negli ultimi cinquant’anni i governi emanazione delle forze armate hanno sempre prevalso numericamente su quelli scelti su voto democratico e popolare. Questa volta andrà peggio, molto peggio.
(..) 24 marzo 1976, amichevole Polonia-Argentina. A Chorzow si gioca, a Buenos Aires si spara. Poco per la verità. I potenziali oppositori vengono fatti sparire senza clamore. Sarà così anche negli anni a venire, il più delle volte mediante irruzioni notturne nelle abitazioni. La notte del 24 marzo radio e televisioni trasmettono a getto continuo i comunicati della neocostituita Junta.
Tutte le altre trasmissioni vengono cancellate, tutte tranne una: la telecronaca di Polonia-Argentina. È necessario che la gente, preso atto del cambiamento, abbia qualcos’altro a cui pensare. Il calcio come veicolo di distrazione di massa, una storia già sentita.
Vince l’Argentina, 2-1. Alla fine i giocatori corrono verso la tribuna stampa, chiedono ai giornalisti un telefono per potere chiamare casa.
Temono per le sorti dei loro familiari.
Luciano Barros Ayala è un ragazzo di 14 anni e gioca con l’Independiente in 9^ división.
Luciano è un ‘4’ ma ha appena giocato un partitazo contro il River, entrando anche nel tabellino dei marcatori nella vittoria per 3-1. È davvero una grande domenica per lui e per la mamma che l’ha accompagnato, ma il meglio sta per arrivare.
A fine partita il tecnico dell’Independiente fa cenno alla madre di avvicinarsi alla rete che divide il campo dall’esterno. Gli dice questo: “Se tiene da presentar lunes, martes y miércoles, va con la sub 15, una categoría mas alta”.
La madre prima si morde il labbro quando sente ‘sub-15’ , poi quasi interdetta annuisce con la testa e si allontana, trattenendo a stento le lacrime. Le altre persone lì fuori hanno già capito cosa è successo e sottolineano il momento con un applauso spontaneo, che, ora sì, fa scoppiare in un pianto commosso la giovane mamma, abbracciata da un amica.
Il figlio è stato appena convocato per la prima volta nella Selección Argentina, la sub-15.
Finita la partita Luciano si avvia verso il bordo campo e viene accolto dal pubblico: “Vamos Lucho!! Vamos papi, que te lo merece!”. Davanti al giornalista che lo aspetta, ecco il piccoletto dagli occhi lucidi: “Un’enorme allegria, moltissima felicità. Questa è la cosa che un ragazzo di 14 anni più vuole e che a me è capitato..”.
E corre via verso la madre piangendo.
Parlare della stagione attuale del Racing Club equivale a farsi un all-in in una partita a poker. Quando pensi sia tutto perduto ecco che all’improvviso arriva la svolta che cambia tutte le carte in tavola.
1 aprile 2019. Il Racing si laurea campeon d’Argentina per la 18^ volta, il merito è tutto del Chacho Coudet che ha plasmato una squadra a sua immagine con tutta garra e fuoco nelle vene, caratteristica propria dell’allenatore. Macchina da gol, sbaraglia la concorrenza vincendo meritatamente un torneo dalle mille sorprese.
Quattro mesi dopo il Racing ricomincia l’avventura della Superliga con i favori del pronostico, ma non è la stessa cosa. La squadra appare meno competitiva, meno affamata di quella ammirata il semestre prima, eppure non ci sono state troppe rivoluzioni. L’1-6 subìto al Cilindro dal River appare come il punto più basso e umiliante dell’Academia. Si risolleverà in campionato ma i malumori non se ne andranno. La squadra sembra sottotono e non si riesce a capire il perchè. O forse si, col senno di poi.
Al Chacho a settembre arriva un’offerta dell’Internacional de Porto Alegre alla quale non sa resistere, l’addio arriverà però solo a metà dicembre con la seccatura, neanche troppo nascosta dell’entrenador al momento dell’addio. “Non sono stato d’accordo con la decisione di negare fino a dicembre, ma chiaro, dovevamo collaborare per il bene del Racing. Ora penso di aver compiuto un ciclo”.
E’ forse questo il motivo dei risultati negativi dei suoi fedelissimi in campo? Può darsi, ma qualcosa si è rotto tra squadra e dirigenza perchè poco il simbolo della squadra, el Licha Lopez sbotta così:
“Per quello che ne so, sto vedendo una squadra numericamente limitata. L’addio di Coudet mi ha dato fastidio. Aveva le sue ragioni e bisogna rispettarle, ma eravamo nel bel mezzo del campionato e sarebbe stato bello finire il torneo. Abbiamo parlato, ma le cose sono andate così. Ora vedremo fino a che punto ci arriveremo con la nafta. Libertadores? Penso che sia difficile vincerla. Bisogna avere una rosa più ampia per affrontare tutte le competizioni”.
E’ il punto più basso del Racing. O forse no. Deve arrivare il primo tempo del Clasico de Avellaneda per scavare ancora di più, per poi risorgere. E deve arrivare quel Beccacece che qualche giorno prima era allenatore dei rivali dell’Independiente.
Già Beccacece, viene accolto con tiepidità dai tifosi, ma dopo il clasico historico vinto in 9 contro 11, dopo le sue esplosive esultanze ad ogni gol diventa uomo amato dell’Avellaneda albiceleste. Da lì l’Acade non perderà più, 8 partite tra Superliga e Libertadores e Copa Superliga, con 6 vittorie e due pareggi, e sopratutto il terzo posto virtuale in classifica. Eccola la svolta che ha cambiato finora la stagione al Racing: Sebastian Beccacece.
E allora ha ragione lui quando dice: “Il tifoso del Racing vive tutto al limite, porta tutto all’estremo. Mi sento molto identificato con questo modo di vivere le partite.“
Bastava poco.
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