Articolo di Paolo Galassi, La Repubblica, 10 novembre 2018.
“Boca-River è un incubo il dolore di chi perde dura più della gioia altrui”
“Dal letame nascono i fiori” c’è scritto su un muro al Caminito, cliché turistico in riva al nauseabondo Riachuelo, prima fogna a cielo aperto d’America. È l’anonimo tributo al De André Faber zeneize, che prima di spegnersi ambientò il tango Lunfardia nei sobborghi putridi de la Boca. «Puzza di bosta», la bosta è il letame, ghignava Angel Labruna, goleador del River Plate, il primo avversario a provocare lo stadio della Bombonera tappandosi il naso. L’ultimo è stato il dt Marcelo Gallardo, uscendo dal tunnel dove nel 2015 una nube di gas al peperoncino aveva accecato i suoi uomini.
Boca-River, i Bosteros e le Gallinas, ora vale il titolo di campione del Sudamerica. Una tradizione fatta di gesti estremi: Tevez che zampetta come un pollo abbracciato da Schelotto, oggi suo allenatore; Maradona che chiude la carriera mimando il coito sotto la curva rivale («Al River sono cadute le mutande»). «Nella tradizione noi saremmo più popolari, plebei e passionali. Non è vero, ma ci piace crederlo» confessa Martin Caparrós, lo scrittore autore di Boquita, la bibbia del tifo in cui cerca di spiegare il sentimento che fin da bambino lo lega al Boca. «Senza riuscirci. È inspiegabile. Facciamo i duri, i cattivi, ma chiamiamo il nostro club Boquita, una parola infantile. Una contraddizione che tranquillizza». Il suo battesimo coincise con la peggior tragedia del fútbol argentino: il Superclásico del ’68 in cui 71 tifosi del Boca morirono schiacciati contro la porta 12 del Monumental.
Il “teorema del Bostero” come lo chiama Caparrós, obbliga a vincere, non importa come. «Essere hincha è morire di paura e doverlo dissimulare, immaginare tutte le cose orribili che ti possono succedere se la tua squadra perde, cercare di convincersi che non sarà così». Ci unisce la paura, non l’amore, scriveva Borges, che odiava il fútbol e il suo furore popolare. «I tifosi argentini non rivendicano la grande differenza che li distingue: l’immaginazione. Si credono i più entusiasti, in realtà sono solo i più creativi. Inventano canzoni poi riprese in Spagna, in Europa e perfino in Giappone. È l’unica vera produzione culturale argentina globalizzata».
“Passano gli anni e i giocatori, ma la famigerata 12, il dodicesimo uomo in campo, “è sempre lì” cantano gli ultrà. Dopo aver ospitato in camera (suo malgrado) un paio di ceffi al Mondiale 2002, Caparrós potrà seguire il Boca dal cuore della barrabrava più temuta al mondo, esperienza che ai turisti del clandestino Adrenalina Tour costa una fortuna. «Sono loro i signori dello stadio. Un’organizzazione parapoliziesca che assicura il mantenimento di un certo ordine in cambio di privilegi come biglietti, soldi, viaggi, lavoro, il monopolio del traffico di droga».
Non ci sarà pubblico ospite per l’ultima finale di Copa Libertadores con il formato andata (alle 21 su Dazn)/ritorno (sabato 24). Biglietti introvabili e abbonati sfollati dalla celere mentre reclamano un posto a sedere. Il patron Angelici, delfino del presidente Macri, rivendica uno stadio da 80.000 posti. Il nuovo sponsor Qatar Airlines sulle maglie non è un caso. «La maggior parte della gente sperava che la finale non fosse Boca-River. Sono in molti a credere che ci sia più da perdere che da vincere. Il vincitore godrà, ma il piacere sarà assai inferiore e molto più breve rispetto alla sofferenza di chi ne uscirà sconfitto». Ma che Argentina sarebbe senza Boca-River? «La stessa. Diversa e uguale allo stesso tempo. La cosa più curiosa del fútbol è che se non ci fosse, nessuno ne sentirebbe la mancanza. È qualcosa di fondamentale che potrebbe non esistere».
Ultime notizie: mentre la Conmebol studia come isolare gli spogliatoi e impedire allo squalificato Gallardo di dare ordini con il walkie-talkie (come in semifinale con il Gremio), corre voce che dalla Russia possa arrivare Putin. Presente di certo Paredes, famiglia Boca, reo di aver cercato il rosso nell’ultimo match dello Zenit per saltare domenica il Cska. Questione di priorità, a ciascuno il suo Clásico.
(2 – continua)
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