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La prossima Superliga Argentina sarà sotto il comando del Capo dell’Afa, Chiqui Tapia. Che vuole continuare a comandare.

Notizie clamorose arrivano dall’Argentina, dove presto assisteremo a una nuova fase dell’organizzazione del fútbol nazionale. La Superliga nata nel 2017, molto probabilmente cesserà di esistere già alla fine di questo semestre. Con elezioni Afa anticipate. Ma per capire tutto il contesto bisogna fare qualche passo indietro.

La nascita della liga e le esigenze del calcio argentino

La Superliga, nata nel 2017, era stata creata nel tentativo di copiare l’esempio virtuoso della Liga spagnola, dopo il traumatico abbandono della ‘Apertura e Clausura‘ e dopo il campionato monstre di 30 squadre voluto da Grondona nel 2014. Si capì allora che bisognava creare una Lega professionistica sulla falsariga di quelle europee, e in particolar modo si decise di volgere lo sguardo a ‘La Liga‘. Attraverso linee guida si intraprese il cammino per consentire una valorizzazione maggiore al passo dei tempi per il fútbol argentino. Nasceva così la Superliga Argentina, ente distaccato dalla potente Federazione Argentina de Futbol, creata per assicurare un quadro più organizzato e professionale della Primera, diretta da manager e da alcuni rappresentanti delle squadre coinvolte. Assoluta novità in Argentina.

Questi erano gli accordi di collaborazione con l’AFA: La classe arbitrale sarebbe dipesa ancora dalla Federcalcio mentre per l’organizzazione torneo (guadagni compresi) erano affar della Superliga, gestendosi in autonomia con i clubs attraverso uno Statuto. Si cambiarono così alcune metodologie e si instaurarono obiettivi nuovi rispetto al passato, come l’organizzazione professionale dei calendari, la distribuzione dei ricavi provenienti dai diritti tv e la volontà di arrivare, con il corso degli anni, a un campionato di stile europeo, comprendente un torneo di andata e ritorno per una ventina di squadre in totale.

Tapia (AFA) e Elizondo (SAF)

L’interesse di Tapia

Tapia aveva appoggiato la nascita della Superliga, ma non aveva mai nascosto l’interesse di centralizzare il tutto presso la Federazione. Nonostante le difficoltà iniziali e attuali (ma lo vedremo dopo), la Superliga cominciava la sua trasformazione. Cambiamenti, innovazione, servizi digitali, nuovi canali tematici, social e via dicendo. Un bocconcino prelibato per l’appetito del vecchio padre padrone del calcio argentino, il presidentissimo Chiqui Tapia, desideroso di rimetterci le mani sul luccicante giocattolo. La strategia era semplice, bisognava solo aspettare gli eventi (e magari farli capitare).

Sorprendentemente nell’ultimo anno questo luccichìo cominciò piano piano a spegnersi. Venivano a crearsi all’improvviso incomprensioni e litigi tra Clubs e la stessa Superliga. Come ad esempio l’empasse di luglio scorso, quando a poche ore dall’inizio della stagione si creò il caos per la modifica all’ultimo minuto dello Statuto, riguardante il numero delle squadre retrocesse. E come non ricordare il recente scontro per la sovrapposizione di calendari tra Primera e torneo preolímpico? Giocare la Superliga senza i giovani sub 23, impegnati nella Selección, non andò giù alla maggior parte dei club. Iniziava così una guerra a suon di comunicati tra Afa (che prendeva le difese dei Clubs) e Saf (Superliga) per la responsabilità dell’accaduto.

Fino alla classica goccia che faceva traboccare il vaso.

A Puerto Madero, sede della SAF (Superliga Argentina de Futbol) il CEO Mariano Elizondo diplomaticamente prendeva le distanze e gettava acqua sul fuoco sulle voci di un divorzio sempre più frequenti:

“La Superliga non morirà, a meno che i club non lo desiderino. Il fatto che la Superliga vada avanti negli anni o meno, dipenderà dalla decisione dei 24 club di prima divisione. Finora negli incontri che ho avuto nessuno mi ha detto ‘Non ci piace, dobbiamo cambiare.’ Chiqui Tapia non partecipa alle nostre riunioni, parlo spesso con lui e non mi ha chiesto mai di portare la Superliga all’AFA.” E subito cercava di alimentare l’interesse correggendo il tiro: ”In questa stagione distribuiremo $ 6,5 miliardi; $ 700 milioni provengono da nuovi sponsor. La divisione è equa, ci sono club che avranno il 100% in più rispetto allo scorso anno e non sono tra i più grandi.”

E qui el Chiqui non se lo faceva ripetere due volte. Iniziando a scorgere qualche cadavere sul fiume, passava al contrattacco. Per prima cosa si dimostrava padre affettuoso verso le società scontente. Rimanendo vicino e facendosi vedere più spesso in pubblico, il boss realizzava propaganda pubblicizzando attraverso i social della federazione le prove Var degli arbitri (l’anno prossimo? coincidenze?) nel quartier generale Afa di Ezeiza, per poi passare alle azioni concrete.

Recentissima poi è la notizia di una cena informale tra Tapia e i rappresentanti di alcuni club di Superliga. Di che cosa avranno parlato?

Oltre al presidente Tapia questi erano gli invitati: Marcelo Tinelli (San Lorenzo), Jorge Ameal (Boca), Hugo Moyano (Independiente), Victor Blanco (Racing), Eduardo Spinosa e Lucía Barbuto (Banfield), Nicolás Russo (Lanús), Sergio Rapisarda (Vélez), Adrián Pérez (Argentinos), Christian D’Amico (Newells), Gabriel Pellegrino (Gimnasia), Pascual Caiella (Estudiantes). Tra altri ne mancava uno, e uno di un certo spessore: Rodolfo D’Onofrio, presidente River. Ma ci arriveremo dopo.

La rimpatriata tra amici, quelli giusti.

Il Patto era chiaro, totale appoggio a Tapia nelle rielezioni federali in lista unica (sai mai), anzi, elezioni anticipate per consentire il cambio di Superliga in tempo per il prossimo semestre. Da parte sua, il presidente si impegnava in prima persona per il cambiamento istituzionale di una Nuova Superliga sotto l’ala protettiva dell’Afa. Naturalmente certi servigi, ripagati generosamente con distribuzioni di poltrone in Federazione. Manovra politica, senza dubbio.

Ne dava conferma il presidente Boca Ameal: “La Superliga sta per scomparire. Ne sono convinto. Era lo strumento per attirare nuovi sponsor. Non è accaduto. Dobbiamo avere una forte AFA con progetti, idee, scadenze e discutere di economia di club. A breve termine, l’AFA si occuperà di tutto.” Clarísimo.

Tutto già sistemato? Ancora no, mancava un tassello alla completa revoluccion. Il River Plate. Non in buoni rapporti con l’Afa.

Il River non non vede di buon occhio la Federazione da un pò di anni a questa parte. L’AFA per il Millo ‘puzza’ troppo di Boca dai tempi del ‘Don’ Grondona, oltre che alla presenza dell’ex Xeneize Daniel Angelici come vicepresidente e ancora prima per quel Macri che poi diverrà presidente della Nazione. Come poi dimenticare che Tapia non mosse un muscolo per cercare di mediare attraverso la Conmebol affinché si potesse giocare la finale di ritorno al Monumental, anziché a Madrid? Il mancato incasso di milioni di pesos di quella finale ha privato al club di linfa vitale, oltre che ai mancati festeggiamenti al Monumental che ancora oggi gridano vendetta tra i riverplatensi.

Nonostante questo ostacolo, Tapia certamente farà la sua esibizione migliore, cercando di sedurre il Millonario perchè, alla fine, anche D’Onofrio dovrà cedere alle lusinghe del Chiqui, magari dopo la promessa di una poltrona al potere, almeno al pari di Ameal.

Eccolo Tapia in una intervista radiofonica: “I presidenti mi hanno espresso personalmente la delusione di questa Lega. la Superliga è stata creata per arricchire il prodotto, migliorare le competenze, generare risorse, migliorare l’economia e le istituzioni. Questo attualmente non è avvenuto, dopo un periodo di tre anni. Data la realtà che stiamo vivendo, non si vede la crescita che era stata tracciata, c’è la necessità di riportare le istituzioni nel calcio argentino “.

“L’idea è quella di creare questa Superliga all’interno dell’organigramma di AFA e che smetta di essere estranea dalla Casa Madre. Quella è la base per prendere decisioni per rimediare agli errori che sono stati fatti tre anni fa e che forse ora ci siamo resi conto”.

E poi l’appello al River:“Per noi è molto importante che il River faccia parte della prossima leadership dell’AFA. Abbiamo parlato un po’ della visione attuale della Superliga e del calcio argentino. Ci sono molti punti in cui siamo d’accordo e questa è la cosa più importante. Non resta che continuare a lavorare insieme per raggiungere questi obiettivi economici e strutturali.”

È incredibile come le persone cambino idea velocemente e come el Chiqui le faccia cambiare. Vi ricordate Maradona in Messico al Dorados de Sinaloa, cosa diceva di Tapia e compañeros? Banda di briganti, cricca di mafiosi, e via dicendo. Arrivato Diego in Argentina al Gimnasia subito arrivò la riconciliazione e la pace, con baci e abbracci e ‘volemose bene’. Anche da questo si deduce l’enorme influenza e potere che el Ciqui attualmente detiene in Argentina.

Si preannunciano dunque giorni di fuoco per il comando del futbol argentino, con tutto quello che poi ne deriverà. Battaglie per il numero di squadre in Primera, numero delle retrocessioni, soldi, insomma, situazioni già ben note.

Ma al capo dell’Afa probabilmente poco importa che i clubs si scannino tra di loro, l’importante che lo facciano in una delle sale di Ezeiza, dove lui possa controllare il tutto, rimanendo al potere ancora una volta.

Chiqui Tapia in Argentina diventerà ancora più influencer.

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